Premettendo che entrambe le ipotesi sono per me parecchio remote...
Se potessi, sceglierei prima la convivenza (per il "rodaggio-fidanzamento", diciamo) e poi il matrimonio. Sicuramente civile, sono in forse su quello religioso perché il mio rapporto con la fede è parecchio in discussione.
Parafrasando Tomatina, sceglierei il casco-matrimonio perché in questo momento è lo strumento a mia (nostra, mia e dell'omino-immaginario) disposizione per meglio tutelare la coppia ed eventuali figli.
Come cittadina di questo stato non ho solo dei doveri, ma (grazie al cielo) anche dei diritti. Se il mezzo che mi permette di godere pienamente di questi diritti all'interno di una coppia è il matrimonio allora mi sposo, con rito civile.
Che poi sussistano coppie per le quali il matrimonio non è possibile (di separati non divorziati, omosessuali, amici-conviventi...) e alle quali andrebbe comunque garantita una forma di tutela è indubbio, ma questo per me non comporta la rinuncia alla mia tutela e ai miei diritti, quanto piuttosto l'impegno per estenderli a loro.
Non lo sto dicendo con vena polemica eh (anzi, spero si capisca quello che scrivo che ho il febbrone da giorni) però mi sono chiesta spesso perché coppie che potrebbero farlo (ossia di eterosessuali celibi&nubili) non si sposino. Le risposte che ho avuto chiedendolo a chi lo faceva sono quasi sempre state "così abbiamo minori responsabilità / mica possiamo sposarci solo in comune, sai che tragedia". Insomma, convivenza = scorciatoia, però poi pretendendo di godere degli stessi diritti di chi avesse scelto il percorso "a norma di legge" (il matrimonio civile). E a me veniva un po' l'orticaria, perché mi sembrava ipocrita pretendere le garanzie che dà l'istituzione-matrimonio rifiutando al contempo il matrimonio stesso.
I vostri post di queste pagine mi stanno dando una visione diversa, più consapevole e informata, quindi grazie.